La notizia che oggi 18 maggio tre giovani suore si consacrano al Signore nella piccola missione di Mugongwa in Rwanda avrebbe sicuramente commosso la nostra Vittorina, veterana del volontariato solidale in Africa scomparsa ultranovantenne il 13 giugno scorso con alle spalle anni di servizio civile in Senegal, Burundi e Rwanda appunto. Chissà se suor Christine, suor Regine e suor Maria Olive delle Ancelle della Carità hanno sentito parlare di lei, di “mama Vittorina” come la chiamavano i bambini rwandesi. Probabilmente no perché forse non erano ancora nate in quell’ aprile di trent’anni fa quando in Rwanda si scatenò l’inferno, e in un crescendo di follia collettiva durata cento giorni prese avvio una genocidaria caccia all’uomo contro l’etnia tutsi e gli hutu democratici. Di bambini, per la verità, non ne erano rimasti in Rwanda dopo quei giorni. Tutta la popolazione era scappata nel vicino Zaire; nel giro di poche ore il Paese si era completamente spopolato dopo l’abbattimento dell’aereo presidenziale del Capo dello Stato Juvenal Havyarimana. Solo i militari francesi dell’Operazione Tourquoise giravano per le strade vuote in un’atmosfera spettrale. La missione di Mugongwa era una delle zone in cui la “pulizia etnica” contro i tutsi aveva fatto più disastri. Le suore italiane erano state evacuate in tutta fretta. Ora, dopo cento giorni bisognava andare a vedere cosa era rimasto dopo settimane di saccheggi e soprattutto…seppellire i cadaveri che da giorni e giorni giacevano sul ciglio della strada. Arrivavano giornalisti da tutto il mondo, ma la maggior parte di loro mandava dispacci dalla piscina di qualche albergo. Solo alcuni avevano voluto avventurarsi oltre la frontiera per controllare de visu quanto era successo. Ne ricordo due a cui ho avuto l’avventura di far da guida: Luciano Scalettari di “Famiglia Cristiana” e Massimo Nava del “Corriere della Sera”. Non si avevano più notizie neanche del Vescovo di Butare mons. Gahamanyi, riconosciuto e salvato dal provvidenziale intervento di un militare mentre con i piedi nella fossa aspettava il colpo di grazia. Degli altri giornalisti, come tutti, leggevo i reportage sul giornale ma non li ho mai visti fuori dall’albergo. In quei giorni don Aldo Benevelli, il fondatore della nostra associazione di volontariato, e la Vittorina erano scesi in Burundi. Li avevo messi in contatto con il nuovo Ministro degli Interni rwandese Jacques Bihozagara, tornato a Kigali dopo essere stato rifugiato in Burundi fino a qualche mese prima, che nella sua professione di veterinario conoscevo da anni. Nel nostro incontro a Kigali, Bihozagara aveva chiesto a don Aldo di entrare a Mugongwa e rimettere in piedi la missione, un compito difficile che richiedeva mezzi economici ovviamente, ma soprattutto coraggio sia fisico che mentale. Don Aldo era incerto se accettare un incarico del genere. Anche il Console Pierantonio Costa suggeriva prudenza. Fu allora che venne fuori tutto il carattere di Vittorina, infermiera di grande esperienza in Italia prima e poi in Senegal dove aveva passato anni in quel di Thies. “Ci vado io, don Aldo, non preoccuparti”. Capimmo subito che nessuna obiezione avrebbe potuto farla desistere. Da sola, con qualche aiutante messo a disposizione dal ministero, Vittorina entrò a Mugongwa dove trovò l’inferno, di cui non avrebbe in seguito mai parlato volentieri: morti nella brousse, la cisterna dell’acquedotto piena di brandelli di cadaveri e l’ospedale rurale che in pochi mesi avrebbe riorganizzato dopo averlo ripulito dai “graffiti” scritti col sangue in quei fatidici cento giorni di follia genocidaria. Finita l’emergenza di Mugongwa, Vittorina si sarebbe fermata a “lavorare” in Burundi, Paese confinante in eterna fibrillazione etnica, portando la sua esperienza su un progetto di supervisione delle strutture sanitarie nella regione di Ruhigi. Oggi a Mugongwa c’è festa per la consacrazione delle nuove suore. E’ anche la tua festa, cara Vittorina, hai vinto. ”Ciao Vittorina, ti ricordo con affetto e gratitudine”, scrive oggi Riccardo da Bujumbura, mentre da Ruhigi ti ricordano a nome di tutta la comunità con eterna riconoscenza: “ Mama Vittorina, Imana igwakire mu buruhukiro budashira”…Dio ti darà l’accoglienza che ben hai meritato! Da parte nostra, carissima Vittorina, è un privilegio aver lavorato con te. So che a te non interesserebbe assolutamente nulla, ma spero proprio che anche la tua città di Verona trovi il modo con qualche iniziativa di ricordarti ai nostri giovani come esempio di generosa e coraggiosa attenzione verso le persone più fragili che vivono situazioni di grande precarietà.
Ugo Piccoli